La Roma era decimata, e Mourinho, squalificato, addirittura in tribuna stampa, con i «prostituti» del vecchio testamento. In campo, «lui»: Romelu Lukaku, l’ex re della foresta. Fischiato, uheggiato, insultato: capita spesso, quando si giura eterno amore e poi si tresca di nascosto (con una, in particolare). Il popolo non dimentica. Inzaghino lo aveva affidato ai rostri di Acerbi. Mou aveva parcheggiato il pullman dalle parti di Rui Patricio: tutti dentro, tranne il belga. Affiancato nominalmente da El Shaarawy e libero d’inventarsi qualcosa. Cancellato dal cuore dell’ordalia, sarà più utile in difesa che in attacco.
Dal torpedone, salvo le scaramucce conclusive, gli occupanti uscivano una volta sola, dopo un’oretta. E Cristante, di testa, impegnava strenuamente Sommer. Una boccata d’aria, il tempo di una pipì volante. Per il resto, Inter. Sempre Inter. Non una versione trascendentale, ma: traversa all’inizio (di Calhanoglu) e un’altra alla fine (di Carlos Augusto). In mezzo, parate del portiere (una, soprattutto, su Thuram), bolge dantesche e un assedio pressante, anche se non sempre ficcante. Asserragliati all’interno del bus, Mancini e Ndicka, Cristante e Paredes armavano un catenaccione che pendeva esclusivamente dalla parte di Dumfries, atteso da uno Zalewski che gli concedeva muscoli e falcate.
Resistere, resistere, resistere. Fino al minuto 81. Quando Dimarco, dalla sinistra, la sua fascia, ha imbeccato Thuram e Marcus, sotto gli occhi di papà Lilian, ha anticipato Llorente e freddato la Lupa, zavorrata, fra parentesi, dal giovedì di Europa League. Uno a zero: quanto basta per tornare in vetta, soli. Thuram: il sostituto di Lukaku. «Il destino mescola le carte e noi giochiamo», parole e musica di Schopenhauer. Agli ordini.